È un richiamo alle armi, tutta la vita, tutti i discorso di cui poi perdo il filo.
Ma quale filo?
Ma quale paratassi, ma quale ipotassi, ma quali schemi. Non esiste la vita, figurarsi l’evasione da essa, non esiste una cazzo di verità, figurarsi le risposte alle domande. Non ho capito se sono io che non ci arrivo.
E davvero ancora stanno cercando un modo di essere lineari? Ma non ti rendi conto che basta un bicchiere di grappa per perdere la linea retta del camino? Basta aver il coraggio di spostarsi trenta centimetri più in là e il mondo diventa un cazzo di 2d distorto e mostruoso che ti appare alieno. Vaffanculo!
Quale regola? Quale famiglia? Quale trascendenza se nemmeno ho capito come si mettono i piedi in fila? È come chiedere ad un bambino di tre mesi cieco di descriverti l’uso del colore piatto in Basquiat.
Grazie a dio (Dio?) il tempo passa dritto ed inesorabile e rende limitati i momento in cui l’universo ti crolla addosso e allora tu, come facevi quando avevi sedici anni, ti metti a battere su una tastiera di plastica (Plastica!!) cercando qualcuno a cui far leggere le tue mosse da ragazzina. Con tutto il rispetto per le ragazzine, almeno loro sono oche e non se ne rendono conto.
Cosa mi manca? Cosa cazzo mi manca???
Voglio poter guardar tutti negli occhi, non ci riesco a sentirmi un gradino più in basso. Non ce la faccio ad esser indietro. Me ne fotto se ho dieci anni in meno, se ho visto meno cose, se non ho ancora avuto la possibilità. Sono come il pilota che in autostrada vuole superare tutte le macchine. Continuerò a correre fino a quando un guardrail non si allungherà e mi ghermirà. E allora ciao.
E non ridete. Perché c’è un guardrail per ognuno di noi. Ognuno.
Cerco un modo diverso di dire le cose. Alla fine ritorno sempre su questa cazzo di tastiera.
colleziono complimenti però non colleziono soddisfazioni che durino più di due sillabe (o cinque se c’è anche la lode).
Sembra fatto apposta, non vai né avanti né indietro. Sono sempre qui. Sono sempre nello stesso cazzo di punto.
Un infecondo gusto del lamento, fine a se stesso, non creativo, non propositivo. Indietro di un milione di anni almeno.
Invidioso di tutti, anche se poi magari io ho di più, non importa.
La punteggiatura, la grammatica, l’insieme delle regole che mi dovrebbero condurre ad un nuovo alito. Invece no.
Cosa devo fare? Cosa devo fare? Cosa cazzo devo fare? Cosa cosa cosa cosa cosa cosa cosa cosa cosa cosa cosa? Cosa cosa cosa? Cosa?
Cosa?
Voglio arrivare, e una volta arrivato voglio ripartire e riarrivare. Non mi basta mai nulla (quindi non arriverò mai da nessuna parte). Chissà, magari anche Kieslowski o Kubrick poi non erano tanto soddisfatti quando riguardavano i loro film. film? devo fare un film? devo fare? Io voglio esplodere. Esser ricordato come il momento di cesura. Tra il prima e il dopo.
voglio essere la linea di demarcazione tra ciò che veniva prima di me e ciò che è venuto dopo. E non mi basta esser tra i migliori. Devo esser in cima. Devo arrivarci, eppoi salire, eppoi sbriciolare la montagna. Voglio esser un cannibale: la gente, se vuole, può accodarsi. Io voglio arrivare in cima ad un cima che non esiste. Perché so, lo so! che non nessun punto sarai mai un punto di arrivo.
Quindi qual è la soluzione a questa giostra? Devo passare tutta la vita a correre un maratona su un tapis-roulant?
E lascio un ellisse.
Dov’è il punto di fuga? Nella morte? Nella morte. Nella morte!? Non lo so, perché è incapibile. Devo fare la cosa più bella, devo fare qualcosa che incarni questa mia tensione verso il nulla?
Ma come si fa? Come come come come? Come?
Di sicuro non attraverso questi tasti di plastica, di sicuro non attraverso ai vostri limitati occhi. Di sicuro non attraverso un vocabolario. Devo poter prendere l’universo e modellarlo all’infinito, in un insoddisfatto tentativo di dargli una forma più perfetta di una sfera. Più sferica di una sfera.
Più rotondo.
Più tutto del tutto.È una corsa verso l’annientamento.
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