Il 2 giugno 2025 ricorre il settantottesimo anniversario della Repubblica Italiana.
Il 2 giugno 1946 si svolse infatti il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, che con il voto popolare condusse alla nascita della Repubblica e alla elezione di un’Assemblea Costituente, a conclusione di un complesso periodo di transizione segnato dalle azioni di movimenti e partiti antifascisti e dall’avanzata degli alleati in un Paese diviso e devastato dalla guerra.
Gli italiani, e per la prima volta le italiane, convocati alle urne per scegliere tra Repubblica e Monarchia e per eleggere i deputati dell’Assemblea Costituente cui spetterà il compito di redigere la nuova carta costituzionale, furono chiamati a cooperare alla fondazione di una idea di cittadinanza repubblicana che trovò nella Costituzione una delle massime espressioni.
Esaurito il ventennio di dittatura fascista, per la prima volta la società italiana viveva l’esperienza di libere elezioni a suffragio universale maschile e femminile, seppure in un Paese allora ancora profondamente diviso sulla questione istituzionale.
Esisteva una spaccatura profonda, fortemente disegnata su basi geografiche, tra il Nord a maggioranza repubblicana ed il Sud a maggioranza monarchica, nonostante che gli eventi dell’ultimo ventennio - ed in particolare la sconfitta, il proclama di armistizio reso noto l’8 settembre 1943 dal Capo del Governo Pietro Badoglio, la fuga dalla Capitale dei vertici militari, dello stesso Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto, lo stato delle forze armate italiane lasciate allo sbando, la guerra civile che divideva l’Italia - avessero oramai reso improrogabile la scelta di una profonda cesura con il passato.
La questione istituzionale emergeva con forza e imponeva l'esigenza di superare drasticamente un modello politico-culturale che affidava alla continuità dinastica della monarchia sabauda la tutela ed il mantenimento dei valori nazionali più tradizionali e conservatori.
Il 9 maggio 1946 il re Vittorio Emanuele III (cui si imputava la responsabilità di avere consentito l’irrompere del fascismo) abdicò in favore del figlio Umberto, già nominato Luogotenente nel giugno 1944. Una decisione rivelatasi sin dal suo nascere tardiva e assolutamente inadeguata rispetto alle aspettative dei partiti aderenti al Comitato di Liberazione Nazionale.
Fu questo il periodo in cui un anelito di libertà e progresso si andarono diffondendo in Italia.
Cancellate le “leggi fascistissime” - che avevano consentito la liquidazione di tutti i partiti all’infuori di quello fascista, lo scioglimento dei sindacati socialisti e cattolici, la soppressione della libertà di stampa, fino alla trasformazione di fatto dell’ordinamento giuridico del Regno d’Italia in uno stato autoritario -, risorsero le organizzazioni politiche e sindacali, i giornali si moltiplicarono con la creazione di nuove testate, le associazioni culturali ripresero vita.
Le città furono tappezzate di volantini che spiegavano al popolo le schede da compilare.
L’affluenza al voto fu altissima.
Nel 1946 gli aventi diritto al voto erano 28 milioni (28.005.449), i votanti furono quasi 25 milioni (24.946.878), pari all’89,08%.
I voti validi 23.437.143, di questi 12.718.641 (pari al 54,27%) si espressero a favore della Repubblica, 10.718.502 (pari al 45,73%) a favore della Monarchia.
I giornali, e il dato è confermato dai risultati diramati dal Ministero dell’Interno, registravano un’affluenza alle urne che di provincia in provincia variava dal 75% al 90% degli aventi diritto.
Nella
realtà, guardando alla concretezza dei numeri, la frattura
dell’elettorato sulla questione istituzionale fu radicale. Le
ragioni furono certamente fondate sulle incognite politiche e
socio-economiche che la scelta repubblicana per molti rappresentava,
ma anche legate alle disparità con cui la dura esperienza della
guerra aveva toccato le diverse zone del Paese e i diversi strati
della popolazione, oltre che dettate dal radicamento di una
istituzione comunque identificata da molti con la propria idea di
nazione.
Il passaggio dalla monarchia alla Repubblica avvenne
in un clima di tensione, tra polemiche sulla regolarità del
referendum, accuse di brogli, polemiche sulla stampa, ricorsi e
reclami.
In virtù dei risultati ed esaurita la valutazione dei ricorsi, il 18 giugno 1946 la Corte di Cassazione proclamò in modo ufficiale la nascita della Repubblica Italiana.
L’Italia cessava di essere una monarchia e diventava una Repubblica.
Il 2 giugno 1946 gli italiani votarono anche per l’Assemblea costituente.
Il risultato elettorale vide l’affermazione dei tre grandi partiti di massa: la Democrazia cristiana conquistava la maggioranza relativa dell’Assemblea (35,21 %), mentre il Partito socialista e il Partito comunista raggiungevano insieme il 39,61 %.
I tre maggiori partiti ottenevano complessivamente circa il 75% dei suffragi.
Si affermavano le forze politiche legate alla tradizione popolare del movimento cattolico e del movimento socialista.
Le elezioni evidenziavano anche il massiccio ridimensionamento delle forze di ispirazione liberale, che sino all’avvento del fascismo avevano dominato la vita politica nazionale.
Le donne ebbero un ruolo ed un peso determinanti, votarono infatti 12.998.131 donne, contro 11.949.056 di uomini.
Già all’inizio del 1945, con il Paese diviso dalla Linea Gotica ed il Nord sottoposto all’occupazione tedesca, il Governo Bonomi aveva emanato un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne (decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n.23), in risposta alla forte mobilitazione delle associazioni femminili interessate al voto : il Comitato femminile della Democrazia Cristiana - CIF, l’Unione Donne Italiane - UDI, il Gruppo femminile del Partito Repubblicano, la Federazione Italiana Laureate Diplomate Istituti Superiori – FILDIS, i Gruppi femminili degli altri partiti aderenti al Comitato di Liberazione Nazionale.
In realtà il voto del 2 giugno costituiva il punto di approdo di un processo di transizione che in Italia si era avviato già a partire dalla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943.
Il processo di liberazione dalla occupazione tedesca e la ripresa democratica con i governi del CLN, che guidarono il Paese fin dalla primavera del 1944, vennero subito a coagularsi attorno ai due obiettivi fondamentali : la soluzione della questione istituzionale e l’approvazione della nuova Costituzione da parte di un’assemblea liberamente eletta.
In un primo momento, il 25 giugno 1944, pochi giorni dopo la liberazione di Roma, il Governo Bonomi stabiliva che alla fine della guerra sarebbe stata eletta a suffragio universale, diretto e segreto, un’assemblea Costituente per scegliere la forma dello Stato e dare al Paese una nuova costituzione (DLLgt 151\ 1944).
Successivamente, il 16 marzo 1946, il governo De Gasperi, dopo aver sancito il suffragio universale e riconosciuto il diritto di voto alle donne, integrava e modificava la normativa precedente, limitando i poteri dell’Assemblea Costituente alla stesura della nuova Carta fondamentale, affidando ad un referendum popolare la decisione sulla forma istituzionale dello Stato ed aggiungendo che, qualora la maggioranza degli elettori votanti si fosse pronunziata a favore della Repubblica, l’Assemblea Costituente, come suo primo atto, avrebbe eletto il Capo Provvisorio dello Stato (DLLgt 98\1946). Nello stesso giorno il Governo definiva le norme che regolavano le votazioni per il referendum e l’Assemblea Costituente da eleggersi con sistema proporzionale. La legge elettorale del 23 aprile 1946 suddivideva l’Italia in 32 collegi elettorali, nei quali eleggere 573 deputati (in realtà ne sarebbero stati eletti 556, poiché non vennero effettuate elezioni nell’area di Bolzano e nel collegio Trieste e Venezia Giulia – Zara, ancora sottoposte alla giurisdizione del Governo Militare Alleato), e affidava alla Corte di Cassazione il controllo e la proclamazione dei risultati.
È in questo clima che maturò la concessione del voto alle donne e il 2 giugno 1946 tutte le donne italiane poterono recarsi alle urne ed essere elette in elezioni politiche.Sui banchi dell’Assemblea Costituente sedettero le ventuno “prime parlamentari”, denominate, allora, “Madri Costituenti”, assai attente a non deludere le speranze delle italiane, comprese le aspettative delle donne che da partigiane, staffette, antifasciste avevano contribuito alla Liberazione. Delle Costituenti, nove provenivano dalla DC (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici Agamben, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria Nicotra Verzotto, Vittoria Titomanlio), nove dal PCI (Adele Bej Ciufoli, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce Longo, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), due dal PSIUP (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) ed una dal partito dell’Uomo Qualunque (Ottavia Penna Buscemi). Cinque di loro sarebbero entrate nella “Commissione dei 75”, incaricata di scrivere la Carta costituzionale : Maria Federici, Angela Gotelli, Lina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti.
Trent’anni più tardi, Nilde Jotti sarebbe stata la prima donna a ricoprire, per tre legislature, dal 1979 al 1992, la carica di Presidente della Camera dei deputati, una delle cinque più alte cariche dello Stato mai ricoperte precedentemente da una donna.
“E le italiane – avrebbe scritto Tina Anselmi, ricordando il 2 giugno - fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica !”.
I giorni, estremamente confusi e drammatici, immediatamente successivi alla proclamazione dei risultati del referendum, videro l’assunzione da parte di Alcide De Gasperi dei poteri di Capo provvisorio dello Stato (nella notte fra il 12 ed il 13 giugno), la partenza di Umberto II dall’Italia per l’esilio in Portogallo (il 13 giugno) e la proclamazione definitiva dei risultati da parte della Corte di Cassazione (il 18 giugno).
“Il Consiglio dei Ministri – si legge nel Comunicato redatto in chiusura della seduta del 10 giugno - riafferma che la proclamazione dei risultati del Referendum, fatta il 10 giugno dalla Corte di Cassazione nelle forme e nei termini dell’art. 17 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 23 aprile 1946, n. 219, ha portato automaticamente alla instaurazione di un regime transitorio durante il quale, fino a quando l’Assemblea Costituente non abbia nominato il Capo provvisorio dello Stato, l’esercizio delle funzioni del Capo dello Stato medesimo spetta “ope legis” al Presidente del Consiglio in carica. Tale situazione costituzionale, creata dalla volontà sovrana del popolo nelle forme previste dalle leggi luogotenenziali, non può considerarsi modificata dalla comunicazione odierna di Umberto II al Presidente del Consiglio. Il Governo, sapendo di poter contare sul senso di responsabilità di tutti gli organi dello Stato, rinnova il suo appello ai cittadini perché, nel momento attuale, decisivo per le sorti del Paese all’interno come nei rapporti internazionali, lo sorreggano concordemente con la loro vigile disciplina e il loro operante patriottismo, nel compito di assicurare la pacificazione e l’unità nazionale”.
Il 25 giugno 1946 iniziarono anche i lavori della Costituente, la quale, il 28, elesse Enrico De Nicola – giurista, esponente della cultura politica liberal-democratica e presidente della Camera dal 1920 al 1923 - a Capo provvisorio dello Stato e circa quindici giorni dopo votò la fiducia al secondo governo De Gasperi, sostenuto dai tre maggiori partiti (DC, PCI, PSI).
La vittoria della Repubblica rispetto alla Monarchia non fu
schiacciante nel 1946, anzi ancora oggi ci sono sospetti di brogli,
come mai tanti Italiani scelsero il Re?
La monarchia prese molti più voti al Sud rispetto al Nord.
Il
perché è presto detto.
Nel Sud c'è sempre stato un maggiore
attaccamento monarchico, anche per motivi storici.
Sia pure sotto dinastie diverse e sempre straniere (Normanni, Hohenstaufen, Angioni, Aragonesi, Asburgo, Borboni oltre alla beve parentesi murattiana) fu più unito del Nord e, a parte eccezioni, ebbe sempre un forte attaccamento ai suoi monarchi, ricordati con affetto (basti pensare a Piazza del Plebiscito a Napoli).
Gli stessi Savoia, prima visti come usurpatori e combattuti (come nel brigantaggio) alla fine furono pure essi in qualche modo accettati e assimilati.
Un altro fattore è che, al di là dei bombardamenti che infuriarono in molte città del Sud da parte degli anglo-americani, qui la guerra terminò quasi due anni prima rispetto al Nord.
Non si ebbe la Repubblica di Salò e l'invasione tedesca con tutte le terribili conseguenze.
Non si ebbe neppure la formazione di partigiani che per la maggior parte era repubblicana.
Dato poi che il re e il governo Badoglio erano dislocati a Brindisi (de facto la nuova capitale del Regno) per il Sud quello non fu visto un tradimento come al Nord ma, anzi, un ulteriore segnale di vicinanza.
A ciò va aggiunto che il Sud rispetto al Nord è sempre stato maggiormente conservatore.
E questo è l’esito delle votazioni col Sud e le isole. prevalente Monarchico e il Nord decisamente Repubblicano.
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